Di Giovanni Brescia
(detto Nino), approdato all'arte pittorica non più giovanissimo, a
poco meno di trent'anni, il maestro Enrico Accatino disse: "Per lui
i quadri diventano amici. I suoi Fiori, i Paesaggi della sua
memoria, le Figure hanno il segno della poesia. Egli ha fatto della
sua pittura una ragione di vita e un motivo di conforto".
Più avanti
nel tempo, il compianto Maestro Giuseppe Bertolini, di origini messinesi,
stabilitosi a Roma, dove morì tragicamente il 22 luglio 1977, del suo
carissimo amico sostenne: "Credo che pochi artisti somiglino alle
proprie opere così intimamente come Nino Brescia. I suoi fiori o frutti
suggeriscono il suo bisogno di schiettezza, di semplicità (che è sintesi
di sensazioni molteplici e, quindi, ricchezza). Sono tentato di trovare
una definizione per Brescia pittore se voi e lui me lo permettete: per
me Brescia è un "primitivo civilizzato", un pittore che guarda alla vita
di oggi con animo antico; sembra che i colori se li fabbrichi da sé,
pestando terre e minerali o bruciando ossa o spremendo bacche. Potremmo
incontrarlo, vestito di ruvido saio, in qualche arroccato paese delle
Puglie e ci offrirebbe pane e una ciotola di limpida acqua. Così io vedo
Nino Brescia pittore".
Trasferitosi a Roma in cerca di uno sbocco, poco più che adolescente,
povero in canna e privo di cultura, rischiò di incamminarsi sul terreno
minato al limite della suburra, ma grazie ai suoi buoni sentimenti, alla
fiducia sempre riposta in sé, alla sua intraprendenza e alla sua facoltà
creativa riusciva a sbarcare il lunario, evitando di prendere quella
strada, buia, compromettente e senza uscita.
Tornato
alla natia Puglia, le anticaglie e l'antiquariato di cui si interessava
lo mettevano in sintonia con le voci silenziose dell'arte. Le
suggestioni di vecchi stili e spenti colori. Un incontro fortuito che
svegliava in lui un latente talento, eccitando l'acuta sensibilità. Con
timidi e commossi approcci, trovava nell'arte ragione di vita; risposte
a domande bloccate ed inevase; vena di purezza e di gioia tra conflitti
d'appannata esistenza e nascosti crucci; spiragli di luce; lembi
d'azzurro lunare.
Si era nel
1965 quando cominciò a dimostrare la genialità della sua pittura,
dell'ingenua carezzevolezza delle sue pennellate, della bellezza dei
suoi dolci colori ovattati. Si capì che Nino aveva un temperamento
pittorico, straordinariamente dotato per la realizzazione geniale delle
sue immagini: una popolana, un adolescente, gli interni con fiori, la
campagna, la marina movimentata da quel venticello fresco che spira
dall'Adriatico la sera e la mattina. Sempre pronto, Nino, a cogliere
rapidamente l'attimo fuggente, le parvenze più fragili, gli aspetti più
improvvisi della bellezza; la bellezza delle cose semplici.